Immaginiamo di essere seduti, voi e io, in una stanza silenziosa affacciata su un giardino, a parlare del più e del meno e a sorseggiare una tazza di tè verde, e che il discorso cada su un fatto avvenuto tanto tempo prima e che io vi dica: «Il pomeriggio in cui incontrai quell'uomo... fu il più bello della mia vita, e anche il più brutto». Sono convinta che mettereste giù la vostra tazza e replichereste: «Be', com'è possibile? Era il più bello o il più brutto? Una cosa esclude l'altra!» Di solito riderei di me stessa, dichiarandomi d'accordo con voi, ma la verità è che il pomeriggio in cui incontrai il signor Tanaka Ichiro fu al tempo stesso il migliore e il peggiore della mia vita.
(Arthur Golden, "Memorie di una Geisha")
Soffice, una confidenza intima diretta al lettore: è così che appare l'incipit di "Memorie di una Geisha" di Arthur Golden. Non impone, non si arroga il diritto di scegliere davvero per lui, ma lo conduce piano verso la direzione che dovrebbe prendere.
Vero è che nessuno ha potuto domandare a Sayuri "Com'è possibile?", eppure Golden ha tirato a indovinare dopo aver gettato il sasso, quella piccola antitesi di "brutto e bello", che primeggia fino alla fine con "migliore e peggiore".
Una curiosità non detta e una domanda senza risposta, perché questa può darla soltanto Sayuri e per di più nelle numerose pagine a seguire.
Il lettore deve dunque concentrarsi, incuriosito com'è, e iniziare a seguire il flusso, permettendo la nascita di un narratore che la sa lunga e non lo nasconde.
Una prima persona che sparge piccole briciole, che prevede come una parca e racconta esperienze vivide, ricordi, cambiamenti.
Poche righe per dedicarsi a un tu per tu con qualcuno, una presenza alla quale si dedicherà poi attenzione nel seguito, o nella conclusione dell'opera (ma di questo ne parleremo un'altra volta), dove si cattura sì l'attenzione, ma si fa anche riferimento alla scintilla che muove la trama: nel caso di Golden, l'incontro con Tanaka Ichiro.